La leggenda di Rossetti e la voce di Dante
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È del tutto normale che circolassero voci e dicerie su Dante Gabriel Rossetti, un artista che visse in una Tudor House della famiglia reale, con un giardino di un acro abitato dagli animali esotici più strani, che ai pochi fortunati visitatori si presentava con un mantello scuro di una foggia d’altri tempi, che preferiva girare le strade di Londra soltanto di notte, e che visse i suoi ultimi anni come un eremita. Era un pittore che secondo i pittori non sapeva dipingere, ma i suoi quadri erano sulla bocca di tutti quando pochi li potevano vedere, perché la sua regola era di non esporre per il pubblico. Gli amanti della poesia conoscevano i suoi versi a memoria prima che venissero pubblicati, ma per il pubblico era poetica già la storia “segreta” di quel volume manoscritto, romanticamente sepolto nella bara della moglie per restare accanto a lei per l’eternità. Peraltro, per sommare le stranezze, quel volume venne riesumato durante una missione notturna, in modo che tutti potevano finalmente leggere quei versi per essere affascinati da una musica nuova, ipnotizzati da un ritmo arcano e soave che contrastava con le tante immagini misteriose, mortuarie e sinistre. Nasceva così come racconto orale, e si consolidava poi negli scritti biografici, una vera e propria Rossetti Legend. Ma questa leggenda poteva anche essere il modo per poter raccontare, per altre vie, la grandezza e l’unicità di un genio. Seguendo questa ipotesi interpretativa, questo libro raccoglie le testimonianze di un’epoca che, aspettando che si concretizzassero gli strumenti tecnologici del fonografo e del grammofono, cercava di descrivere l’incanto leggendario della voce «magnetica» di un uomo e di un poeta. Era un poeta dall’accento strano e con un nome italiano, il nome di un gran de poeta «medievale». Era come se nei suoi versi si sentisse una voce d’altri tempi e di un’altra lingua: la voce di Dante.