L’alterità tra analogia e trascendenza
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Da sempre la questione filosofica dell’altro porta con sé evidentemente alcuni problemi insopprimibili: l’altro “si affaccia” costantemente nella corrente dei miei vissuti e emerge in ogni sfondo esperienziale che concerna il mio mondo circostante; tuttavia, come è possibile offrire di questa sua datità una giustificazione, plausibile? Tale problematica trova una risposta nelle analisi di Husserl e Stein. Mettendo in campo i concetti di analogia e trascendenza, i due fenomenologi riescono a proporre una descrizione e una giustificazione della realtà dell’altro. L’analogia, pensata come esperienza di similarità con il corpo altro, consente di affermare la presenza, nell’altro corpo, di una unità psicofisica simile alla mia ed inoltre di un sentire emozionale che accomuna il sentire originario dell’altro con il mio “riconoscerlo” come tale. Mediante questa peculiarità di una “appercezione di rassomiglianza”, per Husserl, io riesco ad afferrare l’essenza psicofisica dell’altro e, in più, posso affermarne l’esistenza, grazie alla sintesi passiva dell’appaiamento, per cui la mia esistenza “qui ed ora” si costituisce nella costituzione contemporanea dell’alterità. Le identità mia e dell’altro sono così distinte come due “nuclei” differenti (che si trascendono l’un l’altro), ma che, ciò malgrado appartengono allo stesso modo dell’essere “in esistenza”.