Platone e la democrazia
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Studi su Platone politico.
Raccogliendo e rielaborando riflessioni di oltre un quindicennio di studi, e aggiungendo nuove considerazioni, il volume intende dare espressione a un cosciente e radicale rifiuto di teorie revisioniste che mettono in dubbio l’ostilità di Platone alla democrazia: teorie in gran voga, in particolare, a partire dagli anni Novanta, e in ambienti di studio, come quello statunitense, che si distinguono soprattutto per la sovrana indifferenza alle suggestioni prodotte in un ambito di ricerca metodologicamente e filologicamente ineccepibile, nonché di grande tradizione, come quello italiano. Leggere Platone, e analizzarlo nel testo originale greco, significa, in realtà, scoprire, come questo libro conferma nei suoi cinque capitoli, indizi innumerevoli che smentiscono qualsiasi approccio revisionista: indizi sulla sostanziale continuità del pensiero politico di Platone con quello del cugino di sua madre Perictione, il teorico dell’antidemocrazia Crizia (I, sul senso reale del ‘testamento’ della VII epistola); sulla critica inequivocabile all’interrelazione, nella democrazia ateniese, tra retorica assembleare e (discutibili) scelte di politica estera (II); sull’adozione piena, da parte del filosofo, di puntelli fondamentali dell’ideologia aristocratica come il criterio di valore della ‘nobile fatica’ (III); sulle demistificazioni e denunce platoniche della tirannide esercitata in democrazia dalla vox populi (IV) e dell’egoismo opportunistico che si individua alle radici della scelta, da parte di aristocratici e di ‘pubblici intellettuali’, di fiancheggiare e sostenere il regime democratico (V). Il registro preferenziale di Platone è quello dell’ironia ‘socratica’: il che mette in campo un background di costante cautela nei confronti del clima di intransigente conformismo ideologico imperante ad Atene a partire dalla restaurazione democratica di fine V secolo a. C., e lascia intuire un destinatario della comunicazione platonica ben distinto dal tipo del demagogo Crobilo che, racconta Diogene Laerzio, ancora nel 366/5 a. C. faceva presente a Platone «anche te attende la cicuta di Socrate».